Spike Jonze: Her

HER

(Usa 2013, 120 min., col., sentimentale)
Spike Jonze flirta con lo scibile, accarezza le pareti del possibile e, molto spesso, si diletta a varcare la soglia della realtà. A varcare, si è detto, non a oltrepassarla. La sua nuova pellicola, Her, s’insinua magistralmente in questa soglia.
Theodore (Joaquin Phoenix) viene da una profonda depressione, dovuta all’incapacità di realizzare l’effettiva separazione dalla moglie Catherine (Rooney Mara). Fra il silenzio delle sue giornate e l’occupazione lavorativa (scrive lettere personalizzate per terzi), Theodore non riesce ad avere una vita sociale. Tutto sembra cambiare quando fa conoscenza della voce nel suo nuovo sistema operativo, Samantha (Scarlett Johansson)…

Raggiungere l’impossibile, senza essere disarcionato dalla realtà. Queste parole sintetizzerebbero appieno il cinema di Spike Jonze e la condizione del suo spettatore tipo. Frammenti di vita s’intersecano con frammenti irreali, brandelli di realtà quotidiana abbracciano brandelli di un mondo simile al nostro. Non si è di fronte all’onirico o all’immaginativo come in Gondry, ma piuttosto alla logica (Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee) e all’irrazionale (Nel paese delle creature selvagge) o, ancora e nel caso di Her, alla “fantascienza presente”. Si tratta di una fantascienza non così “futura” da disarcionare lo spettatore dalla quotidianità, bensì di una fantascienza prossima alla nostra realtà, una “fantascienza sociale”.

Sì. L’ultimo film di Jonze è sociale, volto ad analizzare una contemporaneità perduta fra realtà virtuale e realtà vitale, dove i rapporti umani sono più fragili e quelli informatici più saldi. Non ci sono, inoltre, lezioni morali, patetismi o pedanterie in Her. Il regista non vuole ammonirci con finti presagi catastrofici o accusarci d’incapacità relazionale. La crisi della comunicazione è una crisi senza pari nella storia dell’uomo, ma – come sottolinea accuratamente Jonze – non si è di fronte a una situazione di sottrazione, una crisi per mancanza. La comunicazione umana, oggi come oggi, non è, infatti, annullata (all’uomo non è privato il dialogo), bensì sostituita con altro: l’informatica.
È da questa considerazione che bisogna partire per analizzare il progetto di Jonze. Il regista, dunque, costata la situazione nella quale si vive (e nella quale si vivrà ancora a lungo), per cogliere ancora qualche frammento di umanità: il sentimento. Tutta la storia verte su questa domanda: “È ancora possibile una vera storia d’amore, fatta di comunicazione, ascolto e dialogo, in un’era in cui facebook, twitter e chi più ne ha più ne metta, sostituisce la relazione fisica a una relazione virtuale?”. È qui che ritorna il concetto della “soglia della realtà”. La condizione espressa in Her, non è quella attuale, ma potrebbe essere la prossima, la successiva a quella attuale. Non è ancora realtà, ma è quella più vicina a essa.
La luce è quella dei led che sopravanza quella solare: poca, effimera e abbagliante (meravigliosa la fotografia). L’interpretazione di Joaquin Phoenix è, ancora una volta, magistrale. L’attore è in grado di rappresentare allo schermo un sentimento difficile, come quello della melanconia, con una mimica e una fisicità che lo rende unico nel suo genere (uno dei migliori caratteristi sul mercato). La voce di Scarlett Johansson (certamente non da Oscar…) è soave e seducente, sincera e, per lunghi tratti, “umana”. Questa sinfonia di parole, di dialoghi e d’incomprensioni, di malintesi, di litigi e di euforie (ottima la sceneggiatura dello stesso Jonze) è accompagnata dalle musiche appropriate degli Arcade Fire (un’abitudine per Jonze) e di Karen O.
Mattia Giannone