John Wells: I Segreti di Osange County

JOHN WELLS

I Segreti di Osange County
(Usa 2013, 130 min., col., drammatico)

TRAMA. Le vicende delle risolute e caparbie donne della famiglia Weston, le cui vie si sono separate finché una crisi familiare non riporta tutte nella casa del Midwest in cui sono cresciute e dalla donna disfunzionale che le ha allevate. (cinematografo.it)

Una sceneggiatura tratta da una piece teatrale che ha vinto il premio pulitzer, un pugno di attori di eccezionale bravura, un impianto tecnico di tutto rispetto, un’ambientazione suggestiva: viste le premesse, sarebbe difficile tirarne fuori un brutto film. Ebbene, il regista John Wells c’è riuscito.I Segreti di Osage County è un ottimo esempio di come si possano avere a disposizione le migliori risorse e di come esse possano non venire pienamente valorizzate in assenza di una regia all’altezza delle componenti; non è che la regia in questo film sia pessima, ma permane ad un livello così trascurabile da vanificare complessivamente il valore delle singole componenti che dovrebbe amalgamare e dirigere.
Nel curriculum di Letts svettano due pezzi di sceneggiatura di una cattiveria e di una incisività impressionanti, che non a caso sono finiti nelle mani di William Friedkin; il grande regista ne ha poi fatto due film strepitosi: Bug e Killer Joe. Il testo di Osage County, dopo aver vinto il Pulitzer nel 2008, è rimasto in sospeso per anni fino al suo arrivo sul grande schermo grazie alla produzione di alcune celebrità (tra cui George Clooney), forte di un cast stellare che comprende Meryl Streep e Julia Roberts. Ora, i testi di Letts nelle mani di Friedkin sono diventati gemme preziose, al punto da riportare il cineasta ad una nuova e dirompente fase della sua carriera; invece il testo di Osage County nelle mani di John Wells, autore del dimenticabile The Company Men è rimasto, possiamo dirlo? Sprecato.

Gli aspetti positivi sono noti a tutti: la bravura degli attori, specie di Julia Roberts (non la vedevamo recitare sul serio da quanto? non ricordo); l’ingombrante presenza di Meryl Streep, che ormai recita in pellicole che sembrano fatte su misura per lei; una fotografia in grado di catturare la grandezza delle pianure dell’Oklahoma; i dialoghi taglienti, distruttivi, pirotecnici. Quel che è interessante (almeno, per un appassionato di cinema) è quello che manca nel film, ovvero il senso cinematografico. C’è una macchina da presa che filma una performance attoriale di litigi e battibecchi, e il regista si guarda bene da farci capire, avvicinare, entrare in contatto con tensioni che non vengono mai catturate, nemmeno nei punti critici. Viene detto, nel film, che la casa è una prigione; d’accordo, per la protagonista che ha pronunciato la battuta, magari; non per lo spettatore: non c’è nessuna sensazione “tattile” di vera oppressione. L’idea di cinema (cinema?) di Wells è “piazza un attore davanti alla mdp e fagli dire la battuta”. Se non si è capito mi spiego meglio: Osage County non è altro che parole, parole, parole, inserite in un fare cinema di basso livello.

La differenza tra teatro e cinema sta tutta qui: nel teatro devi descrivere la vastità della pianura e il caldo di Agosto; mentre nel cinema devi fare sentire la vastità della pianura e il caldo di Agosto. Tanti registi hanno fatto film “teatrali” con risultati ottimi, si vedano i vecchi Polanski, Resnais, De Oliveira, perchè professionisti in grado di tenere sotto controllo e valorizzare il loro senso cinematografico, facendo sì che l’impostazione teatrale non sovrasti quella immediatezza sensoriale che è la qualità più grande del cinema. Wells, semplicemente, non ci riesce: è ciecamente obbediente allo script, si accontenta di avere professionisti davanti alla mdp che fanno il lavoro per lui, non aggiunge e non toglie niente. Prendiamo la scena in cui la Roberts aggredisce la Streep: rappresenta un momento di forte impatto nella storia. Così come l’ha realizzata Wells è solo corretta; ma se l’avesse realizzata, che so, un Friedkin (per rimanere in tema)? Ci sarebbe stato da attaccarsi alla poltrona!
Il risultato di questo approccio di regia piatto e senza personalità è quindi una pellicola buona per gli Academy, che tanto apprezzano la mancanza di ogni forma d’innovazione nel far cinema, buona per Meryl Streep, che ha un’altra nomination da aggiungere alla sua personale collezione, buona per la (si spera) rinascita della carriera di Julia Roberts, ma non buona per il cinema, che all’interno di questo film si scopre già fossilizzato, morto in partenza.
 Stefano