Terrence Malick: To The Wonder

TERRENCE MALICK

To The Wonder

(USA 2012, 112 min., col., drammatico)
(film già recensito in occasione della 69ma mostra del cinema di Venezia)

Da fedele ammiratore del grande cineasta non avrei mai pensato di dirlo, ma è così: Terrence Malick è riuscito a deludermi. E pensare che i presupposti della delusione c’erano da tempo. Innanzitutto, il ritorno fulmineo del regista a meno di due anni da Tree Of Life, cosa anomala per un cineasta filosofo, abituato a tempi lunghissimi, ad anni e anni di riflessione, alla ricerca del sublime in ogni singola inquadratura, a post-produzioni infinite, insomma alla cura di ogni singolo aspetto. Le preoccupazioni si sono confermate quando si è sparsa la voce che alcune scene presenti in quest’opera sono derivate dall’immenso materiale archiviato nella preparazione di Tree Of Life; e già un film cucito con materiale riciclato rischia già in partenza; e gli scarti sono sempre scarti, anche se scarti di Malick e anche se scarti del suo capolavoro.

Il cineasta texano non demorde e puntualizza l’ultima tappa della sua poetica, sublimata nel precedente Tree Of Life. Quindi: elevazione del frammento da orpello a mattone costitutivo; riduzione drastica del dialogo a favore della voce fuori campo; rafforzamento dell’immagine a scapito dell’interpretazione, con conseguente rivoluzione del montaggio, antinarrativo ed ermetico. In sintesi, cinema della poesia e non della prosa. Dalla meditazione cosmica di Tree Of Life il campo si restringe al (non troppo) meno complesso tema del rapporto di coppia. Affleck è un americano in crisi, diviso tra una moglie francese che torna in patria stanca del vuoto mondo della provincia statunitense, e una amica d’infanzia con cui ha una relazione. Sullo sfondo Javier Bardem, il prete che sposa i protagonisti, si interroga sulla mancanza d’amore in crisi di vocazione. Con la solita magniloquenza visiva, Malick riflette sull’amor sacro e sull’amor profano, sui limiti dell’amare “in due” contrapposti all’assenza di limiti (e confini, geografici ed emotivi) dell’amare “in uno”, inteso come amore sacro, spirituale. I protagonisti si avvicinano per poi riallontanarsi, la loro storia sembra finire mentre continua a bruciare, sottopelle. In una frase, “[L’amore sacro] è come una sorgente che sgorga ininterrottamente, [quello umano] è come un ruscello che si può interrompere”. Ben pochi sono gli spazi concessi al melò, genere per eccellenza del sentimento in tutte le sue forme, che il regista sottrae alla vicenda lasciando spazio solo ad un flusso discontinuo di immagini, splendidi panorami naturali e incursioni tendenzialmente new age (di punto in bianco assistiamo ad una tartaruga che nuota nella barriera corallina). In mezzo a questa meraviglia, fanno da contrappunto il caos e lo smarrimento dei protagonisti.

Se in Tree Of Life l’intenzione e le modalità del regista provocavano reazioni di fascino o quantomeno profonda suggestione, in To The Wonder, nato come si è detto da una costola del capolavoro, tutto sembra essere un tentativo un pò furbetto, una replica di un ragionamento già compiuto. Esasperando il suo stile, Malick pecca di retorica (nel suo discorso filmico) e di maniera (nella sua messa in scena). E questo è il suo primo limite. Bellezza e perfezione sì, ma anche autoreferenzialità. In secondo luogo, la scelta del cast è stato qualcosa di immondo. A noi è sempre piaciuta Rachel McAdams, ne abbiamo parlato bene qua e là, dunque avevamo grandi speranze di vederla recitare davanti alla cinepresa di un autore di primo livello come Malick; bene, i 10 minuti scarsi in cui vediamo la McAdams sono a mio avviso proprio i più intensi: troppo pochi, specie se si vuole giustificare una locandina con la McAdams in bella vista. Pare che il regista abbia tagliato molte scene con lei protagonista lasciando intatte (sarà amore?) quelle della rivale Olga Kurlyenko (Ucraina). La quale interpreta il ruolo più difficile, e anche piuttosto bene, se non fosse che balla, canta e fa la sciocchina fino alla sfinimento; Affleck passa metà del film a guardare per terra e l’altra metà a stare di spalle; il poliglottismo del film continua con Javier Bardem (Spagna) in versione prete. Il pubblico ha riso sulla sua prima inquadratura. E termina nel peggiore nei modi con Romina Mondello (Italia), in una particina che è una vera tortura (sto parlando di due-tre minuti in cui lo spettatore vorrebbe, con fulminea gelidità, prendere un’arma e scaricargliela addosso) nella quale interpreta un’amica che invita Olga a vivere in completa autonomia con frasi di questo genere: “Sei l’esperimento di te stessa” e “dobbiamo essere come zingare!” in fluente italiano. Il colpo di grazia alla pellicola. La scintilla che ha innescato l’ondata di fischi. Terrence, come hai potuto permettere una cosa simile?

(I veneziani hanno senso dell’umorismo)

Stefano Uboldi

  • http://www.blogger.com/profile/09993226958393520486 Marco Goi

    sono d’accordo che sia un tentativo di replica di the tree of life, però a me ha affascinato comunque parecchio.
    inferiore al precedente, ma per me comunque un film splendido e molto emozionante

  • http://www.blogger.com/profile/07591694894799055344 MrJamesFord

    The tree of life è stato un pippone, questo un pippino.
    I tempi del vero Malick sono purtroppo ormai alle spalle.

  • http://ilbibliofilo.wordpress.com/ ilbibliofilo

    non tutti i Malick vengono col buco (lo so, come battuta fa cagare, ma mi è venuta così spontanea…)

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    Secondo me non c’è un “vero” Malick…Il percorso artistico di Malick con Tree Of Life può aver subito una drastica metamorfosi, ma se ci pensi il cinema di I Giorni Del Cielo e Badlands conteneva già la frammentarietà ermetica – il montaggio sinfonico delle ultime opere, solo ancora allo stato embrionale.

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    Il punto è proprio questo. Malick potrebbe prendere il soggetto più inutile del mondo e trasformarlo in meraviglia. Può realizzare film splendidi ed emozionanti ma tenuti in piedi più dall’innegabile classe che dalle idee.

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    Non dire così, è in grado di smentirti girando un film poetico sulle ciambelle col buco ;)

  • http://www.blogger.com/profile/14934185582461522168 A.V.

    Sto ancora aspettando che esca nella mia città quindi, purtroppo, non posso ancora dare un giudizio. Mi riallaccio però al discorso di Ford per mettere in risalto una cosa che spesso non viene detta. Malick, come molti altri registi, ha ormai definito la sua cifra stilistica e ora si trova in una posizione di stallo. Quindi, o supera il suo stile proponendo qualcosa di ulteriormente nuovo (molto difficile) o continua così (molto facile) o torna a fare film dalla narrazione/impianto classico (strada che qualche regista “innovativo” ha percorso con ottimi risultati). Tarantino, ad esempio, non propone più qualcosa di nuovo da tempo immemore.
    Certo mi chiedo perché, sfruttando celebrità e guadagni, questi grandi registi un po’ di sperimentazione non la facciano. Ma, del resto, ci sono anche i periodi interlocutori.