Francois Ozon: Jeune et Jolie

FRANCOIS OZON

Jeune et Jolie

(Fra 2013, 90 min., col., drammatico)

(visto in occasione della rassegna “Cannes e dintorni”)

Se Nella Casa è il film che non ti aspetti da Ozon, Jeune et Jolie è quello che dovrebbe condensare con maggiore nitidezza quello che il regista ha provato ad esprimere in passato: “Ciò che mi interessa è come la società avvalli l’alterità, o come al contrario, la rigetti”. Pur convincendoci ancora però, Ozon non aggiunge niente a quel che ha già detto finora.
Già in partenza, tra le polemiche che ha suscitato alla sua presentazione a Cannes, l’operazione sembrava discutibile: Isabelle, dopo aver perso la verginità a 17 anni, inizia a prostituirsi; l'”attività” salvo incidenti procede fruttuosa, ma a un certo punto la ragazza viene scoperta. Da una parte quindi, il regista ripropone il discorso mai concluso sull’adolescenza, età delle disillusioni e della malinconia, della perdita dell’infanzia. Questo motivo è introdotto letteralmente per mezzo di un “coro” di studenti che leggono Rimbaud (un rimando agli studenti di Nella Casa?), e si sviluppa in un arco di tempo riconducibile a un anno, e divisibile in quattro stagioni ognuna sottolineata da un tema musicale di Francoise Hardy (troppa, troppa Francia, non se ne può più!). Dall’altra, è riproposta ancora una questione affrontata fino alla nausea nel cinema d’oltralpe, la prostituzione giovanile: troppo scontata, quasi gratuita per un regista che non vorrebbe mai finire di stupire. Ma Ozon anche stavolta sa come giocare le sue carte.

La prima parte sa molto di già visto e sentito. La modella Marine Macht (bellezza…rimarchevole) dà voce e soprattutto corpo al percorso di scoperta del sesso di Isabelle, senza filtri e censure, e con modalità che sembrano mai necessitare dell’emozione per il suo compimento, prima con un giovane tedesco durante le vacanze estive, passando poi uno ad uno per i suoi clienti, che arrivano a decine. Le ragioni che la spingono a fare sesso su appuntamento sono prudentemente celate: Isabelle non è una ninfomane né tantomeno necessita dei soldi che accumula senza mai spendere. In questo senso, Ozon sembrerebbe rivelare una incompiuta maturazione verso un controllo davvero totale nei confronti della sua materia e dei suoi significati; ma per noi, a cui non piacciono i film nei quali tutto è bello, chiaro e spiegato, questo è invece un punto di forza: perché Ozon non chiarisce, ma fornisce i mezzi, servendosi ancora dei richiami e dei segni come quanto fatto con quelli che infestavano Nella Casa. Nel suo primo rapporto sessuale, Isabelle ha una visione di sè stessa estranea al suo corpo, tale per cui riesce ad osservarsi da una prospettiva esterna durante l’amplesso. Similmente, alla fine della sua carriera come prostituta (il cui nome “d’arte” è, curiosamente, quello della nonna scomparsa), riacquisisce in un breve istante allo specchio il controllo da spettatrice degli eventi a protagonista, da figura passiva ad attiva; in questo senso la metafora è ardita, ma districabile, interpretabile.

La seconda parte colpisce nel segno. Punto fermo del cinema di Ozon è come lui stesso ha affermato il rapporto che si viene a creare tra norma e alterità. Isabelle ha tutto: è istruita, bella, brillante, piena di amici, economicamente stabile. Eppure, nel suo essere così gelida, indifferente, afasica, sa di essere una alterazione, e ciò emerge in maniera spettacolare con la decisione di fare sesso a pagamento. Lo sguardo di Ozon, delicato e ironico allo stesso tempo, ci guida in un mondo che non può o non vuole riconoscere l’alterità; questo non vale solo per famiglie conservatrici e bigotte, ma anche per genitori comprensivi e progressisti come quelli di Isabelle. La forza principale del film, al di là della rappresentazione psicologica (che non è nemmeno la migliore operata dal regista), sta tutta nel clima di paranoia che si viene a creare dopo la smascherazione di Isabelle; un clima che un altro regista esprimerebbe con tonalità grevi e cupe, Ozon lo rappresenta con il consueto savoir faire di umorismo e pungenza. Un film che rifugge dalla retorica edificante, Jeune et Jolie: e così le prediche dei genitori sono regolarmente smontate dal regista che evidenzia un patrigno incapace e “sputtana” (è il caso di dirlo) una madre adultera; e nel modo più assoluto la scelta di Isabelle è compresa e comprensibile, mentre non lo sono i comportamenti degli adulti.

Pur essendo per noi un episodio minore all’interno del sempre più opulento catalogo del regista, Jeune et Jolie è un film che sarebbe un peccato perdere. Lo dimostrano anche gli apprezzamenti a Cannes: sembra infatti che sia piaciuto sulla Croisette, dove le tematiche sessuali sono sempre apprezzate. Il sesso ripaga: e ogni riferimento a questo film è puramente casuale.
Stefano Uboldi