Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia: 3 settembre 2012. FIll The Void, Leones, Outrage Beyond, Disconnect

Continuano con grande spirito di sacrificio i nostri resoconti del festival.

Rama Burshstein: Fill The Void (Israele)

Uno dei tanti film israeliani al Festival quest’anno, anche se l’unico in concorso. Comunità ebraica ortodossa di Tel Aviv. Una donna incinta muore al nono mese, il figlio si salva. Il padre vorrebbe quindi risposarsi in Belgio mentre sua suocera vorrebbe che sposasse la sorella minore della defunta. Appartenente a questo ambiente fortemente tradizionalista è la stessa regista che mette in scena i dilemmi della ragazza e della sua famiglia, divisa tra senso del dovere (familiare) e sentimento (individuale). Pregevole la rappresentazione dei preparativi, dei riti attraverso lo sguardo dei suoi protagonisti (abbondano i primi piani). Film interiore, umile, per niente politico o opprimente nonostante la vicenda raccontata.

Jazmin Lopez: Leones (Argentina)

Film quasi sperimentale che racconta per buoni 90 minuti il vagabondare di cinque ragazzi in un bosco in cui sembra non ci sia via d’uscita. Tutto è apparentemente senza senso, dai dialoghi spezzati e criptici, alle motivazioni originarie della “passeggiata”, agli strani oggetti che li circondano (una macchina abbandonata, un walkman che suona musica classica con sovraesposte le loro voci, una pistola…), oltre al fatto per tutta la lunghezza della pellicola sembri non arrivare mai la notte. La trama pressochè inesistente concorre però ad avvicinare lo spettatore allo spirito del film: protagonista è la foresta, le sue voci, le sue ombre. Presto si comincia a capire che i ragazzi girano a vuoto, o in circolo, che nessuna mappa è in grado di guidarli verso una direzione di fuga. Certo, tutto acquisisce un senso alla fine (il film non è indecifrabile, si comincia a ricostruire il mosaico a mezz’ora dalla fine), anche se si tratta di un senso ancora oscuro, metafisico; ma principalmente qui si tratta di un’esperienza sensoriale, innestata tanto dall’immagine, con piani sequenza interminabili e ipnotici, quanto dal suono, grazie ad un sistema audio che (visto in sala grande, ottimo allestimento) riesce a far tremare i polsi. Ambizioso, rarefatto, un cinema di assoluta libertà visiva. Purezza dell’immagine.

Takeshi Kitano: Outrage Beyond (Giappone)

Finalmente un film divertente, tante risate sadiche. Seguito di Outrage (2010), Outrage Beyond segue la lotta intestina per il potere all’interna di una yakuza diventata invincibile tanto da attingere a fondi governativi e da influenzare politici. Ormai il dio denaro ha preso il posto dei principi originali di onore e lealtà, incarnati nell’ormai anziano Otomo (Kitano stesso); la polizia, immanicata essa stessa con la mafia e incapace ormai di gestire la situazione, chiede aiuto proprio a lui, Otomo, facendolo uscire di prigione: sarà lui a dove riportare l'”equilibrio” nei rapporti stato-mafia (pardon, yakuza). Si scatena quindi la solita carneficina, in cui come al solito sono i soldati a morire, mentre i capi si limitano a fare patti con il sakè. Ormai Kitano non ha nulla da dire, e quindi preferisce divertirsi. E noi con lui.

Henry Alex Rubin: Disconnect (USA)

Fuori concorso, un film sulla vita nell’era digitale. Gli strumenti sono smartphone, ipad, webcams e chat room. Il regista americano costruire il proprio racconto intrecciando tre storie parallele: quella di uno scherzo su facebook che finisce in tragedia; quello del furto virtuale di identità, con ribaltamento dei ruoli vittima-criminale; quello di un ragazzo che lavora in una video chat per adulti. Si tratta quindi di un film che si collega al tema preponderante del festival, quello dell’invasione della privacy e della dipendenza dalla rete, dagli eccessi dell’interconnessione e gli effetti devastanti che è capace di provocare. In pratica si vuole dire che Internet è uno strumento diventato così potente da diventare incontrollabile. Le relazioni reali sono assenti, sostituite da quelle virtuali. Il conforto, l’amore e la fiducia si sono trasferite nella rete, perdendo la loro autenticità.

Stefano Uboldi