Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia: 1 Settembre 2012 Paradies Glaube, At Any Price, Cherchez Hortense, The Master.

Si comincia ad ingranare. Innanzitutto, e cosa fondamentale, i critici stanno iniziando a delineare un filo conduttore che lega, discretamente ma inesorabilmente, le principali pellicole in concorso: i paradossi della rete e l’invasione della privacy, la ricerca della normalità, minacciata da tutto ciò che è “estraneo”, in un epoca di crisi. E’ il caso di Izmena, Superstar, Cherchez Hortense e (ancora deve essere proiettato, ma il titolo dice tutto) Disconnect.

E’ stata la giornata di The Master. Visto in palabiennale. Seguiva E’ Stato Il Figlio ma…non ce l’ho fatta a rimanere in sala. The Master mi ha sconvolto, disorientato. Per il film di Ciprì, se ne parlerà domani.

Ulrich Seidl: Paradies:Glaube (Austria)
Finalmente una pellicola che ho applaudito con autentica convinzione. Pur non avendo visto il primo capitolo della trilogia del regista austriaco, incentrato sul sesso, non posso che (cominciare ad) ammirare l’autore di un cinema che è stato definito da Herzog “L’inferno visto da vicino”. La vicenda è incentrata sulla figura di una donna cattolicissima, Anna, che impiega tutte le sue forze nella ricerca di proseliti insieme ad una compagnia di fervidi credenti (le” truppe d’assalto della chiesa”, si fanno chiamare), i quali assomigliano più a degli zombies che a  uomini di chiesa. La missione? Far tornare l’Austria un paese cattolico. La protagonista, quando non è intenta a fustigarsi nuda al cospetto del crocifisso, gira di casa in casa con una statua della madonna invitando la gente all’adorazione spontanea. Il ritorno a casa del marito musulmano e invalido inaugurerà un processo di “perdizione”. E’ un film che inscena una serie di figure estreme, represse, distruttive: i vari gironi dell’inferno sono popolati da dannati rappresentati nella maniera più cruda e iperrealistica che si possa concepire; da mezzo di riflessione e raccoglimento, la religione diventa chiusura, pura alienazione dall’estraneo. E la protagonista persegue nello sbaglio (in maniera piuttosto prevedibile) adorando Cristo (anche fisicamente) più del prossimo, fino allo sfogo finale senza redenzione. Apprezzato da pubblico e critica, sicuramente verrà boicottato dai cattolici più oltranzisti, cosa che me lo fa piacere ancora di più.
Ramin Bahrini: At Any Price (USA)

Le aspettative per questo film erano, lo ammetto, bassissime: un film ambientato nella provincia americana più profonda (L’Iowa) diretto da un regista iraniano (!) e interpretato da Zac Efron (!!). Alla fine non si è rivelato del tutto orribile, anche se la sua presenza in concorso rimane un mistero indecifrabile (ma anche no, Zac Efron ha attirato schiere di ragazzine urlanti sul lido). Ad ogni modo, ci troviamo nel mondo delle grandi coltivazioni agricole, della filosofia americana dell’Expand Or Die, ma anche dei motori e delle corse di NASCAR. Il padre (Dennis Quaid), cinico arrivista yankee ma tutto sommato simpatico vorrebbe che il figlio (Zac “Imberbe” Efron, cui si cerca di regalare un’aura alla James Dean ma il risultato è patetico), aspirante pilota, continuasse l’attività del padre. Rivalità tra coltivatori e indagini su certe scelte illegali di amministrazione porteranno la famiglia ad una rottura definitiva. La pellicola ha la virtù di illustrare l’america rurale di oggi, ma il resto è dimenticabile. Solo un detto rimane memorabile: Get Big, Or Get Out.

Pascal Bonitzer: Cherchez Hortense (Francia)

Dalla francia arriva fuori concorso la commedia (la prima che vedo qui al festival!) più raffinata, creazione di un regista ma soprattutto sceneggiatore, che infatti dona all’opera uno stato di grazia proprio attraverso una scrittura brillante e intelligente. E’ la classica ambientazione borghese fatta di perbenismo e di routine, infranta solo dall’incontro tra il padre insegnante e una giovane allieva che sconvolgerà le cose. Molto lungo e prolisso, ha però il merito di stare tra gli esempi sopra citati di una tematica orientata alla paura di tutto ciò che può alterare lo status quo, in un continuo vacillare di certezze.

Paul Thomas Anderson: The Master (USA)

Meraviglioso. Corre la voce che Mann (direttore della giuria) lo abbia già idealmente premiato con il Leone. Nessuno se lo aspettava così (per nullo politico, anzi quasi filosofico), eppure non ha tradito le altissime aspettative, perchè è tecnicamente PERFETTO: Regia, interpretazione, fotografia, montaggio, scrittura. Il film del festival, il film dell’anno. Troppa carne al fuoco, lascia esterrefatti, devo ancora metabolizzare. A presto la recensione.

Stefano Uboldi