David Cronenberg: Cosmopolis

DAVID CRONENBERG

Cosmopolis

(Fra/Can 2012, 108 min., col. drammatico)

Una manciata di colori gettati alla rinfusa sullo schermo fanno da cornice a Cosmopolis. E’ il preannuncio di quel che sarà: opera astratta, indefinibile, inafferrabile. Basato su un romanzo da cui sembrerebbe difficile ricavare qualcosa che non si risolva in un pasticcio colossale, Cosmoposis è fedelissimo adattamento e integrazione del testo di De Lillo, anche se Cronenberg non rinuncia ad appropriarsene, plasmandone la materia a modo suo.

Se A Dangerous Method tradì molte aspettative, in primis quelle dei suoi più scettici detrattori, oltre che di molti suoi fans più accaniti, è innegabile per entrambe le posizioni sostenere che Cosmopolis segna una svolta definitiva nella carriera del grande regista canadese. Quel che ci aveva un pò turbato nel film precedente era in realtà solo embrione, prova generale di quel che vediamo, ormai nella sua forma matura e definitiva, con questa nuova pellicola. Valanghe di parole, di frasi sconnesse, passaggi allucinati o privi di continuità, incomprensibili al limite del non-sense: Cosmopolis è una visione già sfiancante dopo pochi minuti. Ciò che fortunatamente bilancia in positivo il film è il savoir faire di un regista che contrappone all’astrattismo logorroico di De Lillo una fredda e disciplinata geometria nella messa in scena. Primi piani ostentati e inquadrature dall’alto; il primo fotogramma della pellicola mostra la linea bianca e liscia della limousine che porterà il giovane milionario Eric a tagliarsi i capelli, e in quello successivo ci troviamo già dentro con il primo ospite, il primo dei tanti che si susseguono con precisa continuità.

Informatici, analisti, consulenti: la vita (e la fortuna) del protagonista è scandita programmaticamente dall’interpretazione di dati, tabelle e indici; il suo genio risiede nel trovare armonia e coesione negli andamenti della borsa. Come si è detto un pò dappertutto, Eric è l’incarnazione del tardo capitalismo, non quello manageriale ma dell’alta finanza, quel tipo di capitalismo di cui si vedono sempre più crepe e difetti, e che nel film in questione sembra implodere, logorato dalle sue stesse contraddizioni. Ogni discorso intrapreso (dalla sicurezza informatica agli aeroporti all’isolazione acustica ecc) dal protagonista è solo un pretesto per instillare il dubbio su tematiche molto più profonde, dal significato del denaro (che significato ha il denaro? un dollaro, un milione…solo una cifra su un monitor) alla distruzione del passato necessaria per costruire il futuro (argomento affrontato in limousine mentre all’esterno scoppia la rivolta: il picco del film) fino alla risolutiva, agghiacciante correlazione tra profitto e omicidio.

C’è una cosa che Eric non può prevedere: l’anomalia della natura umana (vedi: prostata asimmetrica), elemento impossibile da interpretare in un grafico. Il dubbio fa di Eric un essere umano e non solo una macchina finanziaria. Il dubbio (o il suo genio?) porterà Eric alla rovina. Riscoprendosi uomo “fallibile”, ricerca quel che rimane della sua umanità: la violenza, la morte.

Per quanto verboso e inaccessibile, e per quanto segni definitivamente (nel bene e nel male) il nuovo corso del regista, Cosmopolis è un film pienamente cronenberghiano. Il film trasuda letteralmente: carne, decomposizione, sesso: fisicità. Molto è detto con le posture, con gli sguardi; molto dicono le imperfezioni e le ferite sulla pelle dei personaggi (body horror). Fenomenale la scena in cui una sua collaboratrice stritola una bottiglia d’acqua tra le gambe (è “tensione sessuale”). E Pattinson, perfetto manichino umano qui perfettamente funzionale al contesto, è sfruttato dal regista nel più sadico dei modi, attraverso analisi rettali, ferite autoinflitte, mentre mangia compulsivamente oppure quando lo vediamo urinare nella limousine. La sua rovina è concepita per eccitare ed eccitarsi (dice a un certo punto: “Anche quanto ti autodistruggi, tu vuoi fallire di più, morire di più, perdere più degli altri, puzzare più degli altri”).

Con le sue parole fluttuanti e le sue scene crude e asciutte, Cosmopolis riesce ad esercitare un forte magnetismo sullo spettatore più attento, seppure l’eccessiva fedeltà al testo di De Lillo tende a far colare a picco l’attenzione proprio mentre la pellicola si avvia alla conclusione. Sebbene con risultato notevole, nemmeno Cronenberg riesce appieno a convogliare il testo verso una risoluzione chiara e conclusiva. Forse certe opere letterarie, è meglio lasciarle alla letteratura…sicuramente ci torneremo su questo film, magari sviscerando qualche frase criptica e incomprensibile. E in questo caso, c’è davvero l’imbarazzo della scelta.

Stefano Uboldi