L’arte di vincere – Moneyball: Bennett Miller

L’arte di vincere

(Moneyball, Usa 2011, col., 133 min., drammatico)

Finalmente è uscito al cinema, il filmone hollywoodiano dei buoni sentimenti: L’arte di vincere. Tutto scorre alla perfezione: c’è Brad Pitt, il baseball, la “complessa” psicologia del personaggio, il “vivere per vincere”, la storia vera. Cosa manca? Ah sì: è candidato agli Oscar. Un buon hollywoodofilo, non può non essere contento.

Billy Beane (Brad Pitt) è il General Manager della squadra di baseball dell’Oakland A, squadra con pochi soldi a disposizione, ma che riesce a essere sempre fra i primi posti del campionato. Billy Beane vuole vincere e per questo

ingaggia Peter Brand (Jonah Hill), giovane laureato in economia che decide gli acquisti dei giocatori di baseball in base alle loro statistiche, non a ciò che fanno in campo. Riuscirà l’intrepido Billy Beane a compiere il miracolo, ossia a essere una squadra vincente con giocatori valutati pochissimo sul mercato e a ottenere la fiducia del suo entourage, in primis dell’allenatore Art Howe (Philip Seymour Hoffman)? La risposta è abbastanza facile.

Si saranno chiesti a Hollywood: “Con cosa potremmo, ancora una volta, toccare il cuore degli americani?” “Perchè non la storia vera di qualche anno fa, della squadra di baseball di Oakland?”; “L’attore?” “Brad Pitt, no? il successo è assicurato”. Ecco servito L’arte di vincere di Bennett Miller.

Brad Pitt sta migliorando (sono riusciti anche a candidarlo all’Oscar), ma non convince. La sua interpretazione è finta, poche storie. E per un film che punta tutto sul personaggio di Beane, è un gran punto debole. Per fortuna che Jonah Hill, si mostra all’altezza di una pellicola “seria” e non solo di commedie di basso livello (candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista). Il film raggiunge il punteggio di 5/10, solo per Philip Seymour Hoffman: i suoi ben cinque minuti sono da antologia. Il suo disgusto verso il General Manager (o verso Brad Pitt?), il suo tedio, il suo disincantamento verso quella situazione sono veri: è nauseato e si vede! Davvero grande. Che dire d’altro (dal punto di vista tecnico-artistico c’è ben poco da dire, se non alcune ottime riprese in auto)? Ah sì: bella la locandina.

Mattia Giannone

  • http://www.blogger.com/profile/09993226958393520486 Marco Goi (Cannibal Kid)

    assolutamente d’accordo.
    a parte su jonah hill che per me è davvero imbambolato e inespressivo.
    il tipico film fatto per vincere gli oscar, cosa che spero non accada…

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    Devo dire che a me non è affatto dispiaciuto. Voglio dire, non è un capolavoro e nemmeno comparabile a The Artist. Però ho trovato la sceneggiatura di Aaron Sorkin scintillante, intelligente (come in Social Network). Non sono d’accordo quando dici “filmone hollywoodiano dei buoni sentimenti”, visto che non è un filmone (assolutamente anti-spettacolare) nè tantomeno di buoni sentimenti (la statistica batte l’esperienza umana). Oltretutto, a me affascina il personaggio di Brad Pitt: non lo vedo come classico eroe americano del “vincere per vincere”, ma come un rivoluzionario destinato al fallimento. Crisi del sogno americano, pellicola tosta, amara, quasi difficile.

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    E’ un filmone non nel senso di spettacolarità, ma nel senso di “quantità”. C’è tanto autocompiacimento americano. Secondo me è un film facile e piacione. Non ci sono buoni sentimenti dell’uno verso gli altri, ma dell’uno verso se stesso! E non dirmi che quando Brad vede sua figlia non ci sono i buoni sentimenti: il bambino dice sempre la verità, non riesci a nascondere nulla ai bambini ecc. ecc.
    La sceneggiatura era banale e scontata. La prevedibilità regnava sovrana.
    Brad non è il classico eroe americano del vincere per vincere? ma dai!? è la solita storia: hai tutti contro, ma tu persisti perchè sei sicuro di essere nel giusto: giusto nelle idee, anche se non nella pratica.
    Infine: è vero Brad non vince praticamente, ma effettivamente sì. Non fallisce, non poteva fallire e infatti non ha fallito: ha rivoluzionato il baseball. Se non fosse così, non avrebbero realizzato la pellicola…
    Preferisco il film “4 sotto zero” sui campioni di bob giamaicani, almeno quello era anche divertente.

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    Ah, dimenticavo: la statistica vince sull’esperienza umana, ma senza questa la prima non può realizzarsi. La statistica che convince Brad è bagnata dai suoi flashback melensi pieni di nostalgia (non dirmi che non sono facili questi!?). Reagisce razionalmente, ma sempre quidato dalle emozioni e dalle sue esperienze negative

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    Guarda, io l’avrei trovato un film banale e melenso se avesse avuto come soggetto la classica squadra di sfigati guidati da uno più sfigato di loro che riesce a vincere contro tutti i pronostici: sogno americano per eccellenza.

    Qui invece ogni trionfalismo o visione romantica dello sport viene fatta a pezzi (bestemmia! per gli americani): come dici, ciò che preme il protagonista è vincere (ci mancherebbe che voglia perdere!), facendolo però non solo con coraggio, determinazione e bla bla insiti nello schema del gioco (così sarebbe davvero banale e scontato), ma ribaltando le logiche atrofizzate (basate peraltro sulla fama) dominanti del suo ambiente. Una cosa profondamente americana, sì: il pioniere che si afferma anche cambiando il dogma (una cosa, americana, che mi piace).

    Comunque, ripeto, nemmeno io penso sia una capolavoro, ma non penso nemmeno che sia un film da “demolire”. Per quello, credo che sarà fatto con “War Horse” che mi ispira stroncatura gratuita. ahahaha!

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