Terrence Malick: The Tree Of Life

TERRENCE MALICK

The Tree Of Life

(Usa 2011, 138 min., col., drammatico)

Su The Tree Of Life, come su ogni grande opera, si potrebbero scrivere volumi e parlare per ore. Noi non pretendiamo di affrontare un discorso globale su questa pellicola. Dando per scontato un giudizio estremamente positivo sui valori artistici del film e sulla forza cosciente del suo regista, sorvoliamo gli aspetti (seppur centrali e determinanti), filosofico-meditativi dell’opera per concentrarci sul valore strettamente estetico, e soprattutto strutturale, della pellicola.

Ci troviamo di fronte ad un’opera estremamente complessa, per chiunque. Anche solo accennare qualcosa della trama risulterebbe complicato. Ad una prima visione, è lampante una analogia tra l’evoluzione di una famiglia e…l’evoluzione dell’universo. A mio avviso, il film è un confronto tra Malick e (il suo) Dio. La mancanza di “azione” è sconcertante: non vi sono quasi mai dialoghi veri, se non pensieri: il silenzio è protagonista. Alcune scene poi sono puramente astratte. Allucinazione.

Se gli ultimi film di Malick (La Sottile Linea Rossa e Il Nuovo Mondo) sembravano un avvicinamento alle strutture narrative lineari della “classica” hollywood, Tree Of Life è la radicalizzazione delle sue opere prime, soprattutto del percorso iniziato con I Giorni Del Cielo. L’emozione che suscita è esclusivamente visiva: la recitazione è secondaria. Le scene non durano più di qualche secondo: rappresentano istanti che vanno a formare un’immenso collage della vita; che sia vita dell’universo, dalle galassie alle prime forme di vita, o che sia la vita dei suoi personaggi, non c’è molta differenza. La “tragedia” (la morte del fratello, incipit della vicenda), è immane di fronte agli occhi della famiglia (quindi della società “umana”), e insignificante di fronte all’eternità e all’infinità dell’universo.

L’aspetto cosmico costituisce allo stesso tempo forza e debolezza del film. Paragonato per grandiosità all’Odissea nello Spazio di Kubrick, nella rappresentazione un tantino pretenziosa dell’origine della vita, talvolta il regista eccede (i dinosauri..) nell’ambizione spropositata. Però lo scopo rimane ed è raggiunto, si badi con mirabile profondità e classe, nel giustapporre l’infinitamente grande (macrocosmo) e l’infinitamente piccolo (microcosmo) in una unità mistica. Questa “relatività” che intercorre tra spazio e tempo, si fonde mirabilmente con quello che oppone la via della grazia alla via della natura, due strade impersonificate rispettivamente dalla figura della madre, tenera e devota (l’istinto e il destino) e dal padre, rude e fisico (l’intelletto e il caso). E qui sta, invece, uno degli aspetti del film ovvero quello autobiografico di Malick (che, in fondo, costituisce il centro della pellicola).

Il carattere “antipatico” di Tree Of Life (e del suo regista) è lampante. Se i registi fossero architetti che realizzano abitazioni, tra tutti Malick sarebbe quello che costruisce una cattedrale. Che ovviamente si troverebbe fuori posto, sia per il suo contenuto (un edificio finalizzato al culto, e infatti il film è una lunga preghiera) sia per il suo stile (il superamento delle convenzioni narrative del cinema) in mezzo a quello cui siamo abituati. Insomma, il suo solo limite è forse quello di essere così tanto oltre il resto del cinema da sfigurare per grandiosità.

La musica sinfonica, che in maniera torrenziale attraversa tutto il film, contrasta con il ritmo spezzato delle immagini, frutto del lavoro di ben cinque montatori durato oltre due anni. Il tempo si frantuma, lo spazio di dilata (casa-quartiere-città-universo-aldilà). E’ come se vedessimo tutto per la prima volta.

Con The tree of life Malick è riuscito finalmente a materializzare le sue idee realizzando un’opera indimenticabile, anche se totalmente priva di linearità.

Il dibattito che ha diviso la critica mondiale è la stessa che divide dagli albori del cinema chi considera il cinema come arte e chi considera il cinema come semplice strumento di intrattenimento. Noi Cineuforici ci schieriamo con determinazione nella prima schiera, certi di tornare ad approfondire quest’opera così misteriosa e affascinante.

Stefano Uboldi