Juan Jose Campanella: Il Segreto Dei Suoi Occhi

JUAN JOSE’ CAMPANELLA

Il Segreto Dei Suoi Occhi

(El secreto de sus ojos, Argentina 2009, 127 min, col., drammatico)

“Vivere una vita con i ma… e se avessi… è come vivere una vita con mille passati e nessun futuro”

C’è una scena, in “Il segreto dei suoi occhi”, che da sola vale il prezzo del biglietto.

Nel ristretto spazio di un ascensore un criminale carica la sua pistola. Si prepara ad eliminare il prossimo dissidente del regime argentino. Quello degli anni ’70, di Isabel Pèron, dei primi desaparecidos. E’ appena stato arrestato: ma poco importa se è un sadico stupratore e assassino, è un’arma dello Stato, e viene rilasciato subito dopo l’arresto. Insieme a lui nell’ascensore, protagonisti del film, i suoi inseguitori impotenti e ammutoliti: Benjamin Esposito e il suo capo, Irene Menendez.

La storia d’amore tra i due angenti federali, mai consumata, si intreccia al caso di una donna stuprata e uccisa nell’indifferenza generale; e l’indagine si intreccia a sua volta, in maniera impeccabile, quasi oleografica, alle degenerazione morale e culturale dell’Argentina, in rotta verso il fascismo.

L’intera vicenda è rievocata da Esposito, che, ormai in pensione, sta scrivendo un libro sul caso, intento a rivivere quell’epoca (i flashback sono condotti con un’austera eleganza), la sua tormentata vicenda professionale, in lotta con i suoi superiori corrotti e arroganti, e ad “esorcizzare” l’amore per Irene, ora sposata e con figli.

La memoria è chiaramente il tema centrale dell’opera: essa è deformata a nostro piacimento, oppure sfuocata (i primi minuti del film..) quando le cose sono troppo difficili da sopportare; torna a manifestarsi tramite foto e archivi (oggetti preponderanti in tutta la pellicola) ma è celata, in ultima analisi, negli occhi. Gli occhi dell’assassino (il punto di partenza del lato “thriller”) e quelli di Irene (il lato “sentimentale”).

A “El secreto de sus ojos” non manca niente. Poliziesco e critica sociale superficialmente, meditazione sulla solitudine più in profondità. “Come si fa a vivere una vita di niente?” è la domanda del protagonista, riferito alla solitudine di un appartamento-prigione; ma anche l’argentina rimasta congelata col passare degli anni.

Dal punto di vista tecnico (il film è sceneggiato e montato dallo stesso regista) il risultato è eccezionale: da segnalare la scena dello stadio, un piano sequenza lunghissimo, quattro minuti di inseguimento senza stacco di ripresa, caotico e con migliaia di comparse; un contrasto con il resto del film, che fa del controllo e della suspence il suo punto di forza. Per non parlare del finale a sorpresa. L’interpretazione è pure magistrale e sentita (Ricardo Darin è considerato il “Mastroianni” dell’america latina), e nonostantel’indole noir dell’opera scappa sempre qualche battuta ironica da parte dei personaggi, “bloccati” nelle indagini dai loro stessi superiori. In un’atmosfera soffocante e grigia, viene lasciata una luce di speranza in fondo al tunnel.

Il film si è portato a casa l’oscar come miglior film straniero 2010, superando “Il Profeta” e “Il nastro bianco”: meritato.

Stefano Uboldi
  • http://www.blogger.com/profile/01505840319808672920 Lisa Costa

    Andai a vederlo solo per l’Oscar vinto e ne rimasi fulminata. Non so ancora perchè ma ho dovuto dormire con la luce accesa quella notte per quanto mi aveva scossa! Ieri l’ho fatto recuperare a mia mamma e l’ha amato.

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