Jean-Marc Vallée: Dallas Buyers Club

DALLAS BUYERS CLUB

(Usa 2013, 117 min., col., drammatico) 
Il regista canadese Jean-Marc Vallée, dopo C.R.A.Z.Y e The Young Victoria, si affida all’interpretazione di Matthew McConaughey per la sua nuova pellicola in profumo di Oscar Dallas Buyers Club.
Siamo negli anni ottanta. Ron Woodroof contrae il virus dell’HIV a causa di un rapporto non protetto con una tossicodipendente. Nato e cresciuto in un Texas omofobo, ben presto perderà il lavoro e gli amici. Insieme al transgender Rayon, lotteranno contro l’AIDS, contro l’industria farmaceutica, gli ospedali e i medici conservatori, aprendo un’attività commerciale di medicine non riconosciute dal FDA. Tratto da una storia vera.
Se volete passare una serata tranquilla, hollywoodiana, lineare e senza troppe riflessioni cinematografiche, la pellicola di Jean-Marc Vallée fa il suo dovere. Il classico anti-eroe, o self made man, che testardo s’immola per la sua crociata, non poteva sfuggire all’industria cinematografica. Fortunatamente, a differenza di altri casi, la pellicola ne esce bene. Certo, dietro a Dallas Buyers Club non si dovrà cercare chissà quali interpretazioni, discorsi filosofici, estetici o meta-cinematografici, ma nel complesso la pellicola risulta godibile. In essa, infatti, si potrà riscontrare, senza ombra di dubbio, un’ottima coerenza narrativa, un ritmo incalzante e un buon montaggio. Tutto ciò, evidentemente, senza differenziarsi dai classici pacchetti hollywoodiani “piangi – ridi – ti sollevi – ridi – piangi – t’indigni” che sono sempre stati proposti.
I temi, infatti, si prestano molto bene alle manine d’oro di Hollywood. Il boom dell’HIV degli anni ’80, l’ignoranza dell’argomento, l’impossibilità di trovare una via d’uscita, le difficoltà sociali fanno da humus ideale per una vicenda da self made man. Un uomo, all’occorrenza Ron, sguazza in questo humus (ignorante, omofobo e via dicendo) per poi redimersi non appena si rende conto di essere spacciato. L’anti-eroe americano può compiere la sua crociata personale e altruistica, salvando la sua anima, ma non il suo corpo. Quando si guarda Dallas Buyers Club, bisogna essere consapevoli di ciò.

Ma ben vengano film di questo genere se sono realizzati egregiamente. Il film di Vallée, infatti, si difende molto bene e propone uno spaccato degli Stati Uniti anni ‘80 più che corretto: il Texas, le differenze sociali (comunità omo e i cowboy) e quelli del profitto (l’industria affaristica e farmaceutica, il mondo ospedaliero). La pellicola di Vallée, insomma, non delude le attese, ma (e va detto) si appoggia essenzialmente sull’interpretazione sopra le righe di Matthew McConaughey e Jared Leto. L’attore protagonista, qui smagrito di venti chili, conferma il suo stato di grazia, ma al di là del superficiale cambiamento fisico, McConaughey sfodera tutta la sua esperienza e rende il personaggio di Ron ricco di sfaccettature e di contraddizioni. Dopo Killer Joe, pellicola che l’ha esaltato, non si è più fermato e ha sfornato, uno dietro l’altro, personaggi in grado di sostenere o trainare interi lavori: The Paperboy (ancora inedito in Italia), Mud o l’incredibile monologo del recente Il lupo di Wall Street.

Lasciando da parte, per una volta, i fronzoli del critico, posso confessarmi apertamente sostenendo che Dallas Buyers Club mi ha stupito positivamente.

Mattia Giannone