Mostra del Cinema di Venezia: Giorno 8. Glazer, Campillo, Morris, Laconte

Jonathan Glazer: Under The Skin (Regno Unito)

Jonathan Glazer ha diretto anni fa Birth-Io Sono Sean ma è soprattutto il regista che ha realizzato questo, questo e soprattutto questo. Il suo curriculum è quindi di tutto rispetto ma si limita al formato del videoclip. Considerando questa pellicola in concorso, la più schernita, maltrattata, fischiata della Mostra, non si può non pensare a un lungo videoclip. Glazer fa cinema per gli occhi. Non crediamo che gli importi granchè che il pubblico colga o non colga il senso ultimo dei suoi film, ammesso che ne abbiano uno. Torniamo quindi alla solita, annosa questione di quali film andrebbero messi in concorso e quali no: un film del genere starebbe bene in un contesto di video-arte, non di cinema inteso in maniera “classica”. I soliti gentiluomini e gentildonne che fischiano e gridano alla fine di una proiezione dovrebbero ragionare prima di muggire. Perchè la “colpa” qui non è del regista o dell’attrice (una Scarlett Johannson aliena divoratrice di uomini, che rivela le sue curve in tutto il loro splendore, riempiendo letteralmente i “vuoti” del film!) ma di chi ha avuto la brillante idea di far passare Under The Skin in concorso insieme a gente del tipo, che so, Gianni Amelio e Stephen Frears. Dirò di più, insultatemi pure, il film mi è piaciuto. Un film enigma, tutto occhi e poco cuore, dalla trama pressochè inesistente, ma costellato da immagini ipnotiche e magnetiche, da una fotografia che predilige il gioco di ombre e di riflessi, che ha avuto l’unica sfortuna di essere stato proiettato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fuori da ogni contesto.

Robin Campillo: Eastern Boys (Francia)

La tecnica adottata dai prostituti provenienti dall’Europa dell’Est in Francia è questo: adescare il cliente, andare a casa sua, tenere la porta aperta, fare entrare gli amici, occupare la proprietà del cliente, fare festa e nel frattempo ripulire la casa. E’ quello che succede al protagonista del film di Robin Campillo presentato a Orizzonti. Chi sperava dalle premesse in un bel thriller di vendetta come il sottoscritto, si è dovuto ricredere quando ben presto nasce l’amore tra il protagonista e uno dei ragazzi; a questo punto il film diventa il solito spaccato sociale borghesia-bande criminali con il prostituto che vorrebbe andarsene dalla banda ma non può.
Eastern Boys è tutto bello e fatto bene, mette d’accordo tutti. Vorrà dire che lo dimenticheremo in fretta.
Under The Skin, per intenderci, non è piaciuto a nessuno. Ma non lo dimenticheremo.

Errol Morris: The Unknown Known (Usa)

Nel documentario The Unknown Known, l’intervistato e protagonista del film, Donald Rumsfeld (non approfondiremo la sua figura qui, rimandiamo per direttissima su wikipedia), fa ciò che sa fare meglio: incantare lo spettatore con le parole. Il suo status di uomo di potere machiavellico e abile paroliere gli consente di rendere credibile ogni sua affermazione e di convalidare anche la bugia più assurda. Il minimo comune denominatore del suo pensiero politico, riassunto genialmente dal documentarista non con banali modalità autobiografiche ma attraverso i suoi snow flakes (promemoria scritti in mezzo secolo di vita politica americana, che sembrano quasi averne dettato – telegraficamente – la storia), sta tutto nel concetto che non avere una prova di un pericolo non significa che quel pericolo non esista. Dato questo assunto, ogni aggressione è giustificabile: chi vuole la pace prepari la guerra. Un film fatto di parole, The Unknown Known, che sfida apertamente il suo intervistato (per il quale Morris sembro comunque provare uno strano fascino) con i suoi stessi mezzi, e vince: infatti, in un momento di assoluta verità, Rumsfeld cede e si strangola con le sue stesse parole, si incarta, si contraddice: e il film, e in generale il cinema documentaristico che rappresenta, acquisisce senso.

Patrice Laconte: Une Promesse (Francia)

Non nutriamo alcun dubbio su quale sia la peggiore pellicola presentata a Venezia: E’ senz’altro Une Promesse di Patrice Laconte. Ancora adesso faccio fatica a capire se la sua bruttezza sia reale o intenzionale. Si tratta di una telenovela ambientata agli inizi del ‘900: Triangolo amoroso, passione e desiderio nell’alta società. Patrice Leconte, regista di film di tutto rispetto, da L’uomo Del Treno a La Ragazza sul Ponte, manovra la macchina da presa come un pivello alle prime armi, con irritantissimi zoom e scatti, proprio in un contesto in cui starebbe bene la cinepresa fissa. Gli attori fanno del loro meglio biascicando stupidaggini da romanzetto rosa. Non mancano anche errori storici mastodontici: i nazisti incombono subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (siamo ancora negli anni 10). Se ci fosse, in mezzo al disastro, almeno una trama avvincente, un colpo di scena, ciò allevierebbe l’animo di chi si sta irretendo sulla poltrona. Invece no, la tortura prosegue e culmina in un finale che ti fa meditare il suicidio: i due si ameranno per sempre.
Buoni i costumi e le scenografie, ma a questo punto ce ne importa qualcosa?

S.U.