Hong Sang-soo: In Another Country

Hong Sang-soo

In Another Country

(Corea del Sud 2012, 89 min., col., commedia)

Per quel che si potrebbe chiamare un miracolo, quest’anno è uscito per la prima volta nelle (4 o 5) sale italiane un film di Hong Sang-soo, il regista coreano più “europeo”; i suoi film, in equilibrio tra nostalgia e sperimentazione, sembrano essere una commistione di Truffaut, Resnais ed Allen. Si tratta di In Another Country, film presentato l’anno scorso a Cannes (e di cui non si è quasi per niente parlato, oscurato da film come Amour, Holy Motors e Cosmopolis), 89 minuti carichi di idee, in una pellicola che non ci fa di certo gridare al capolavoro, ma che se non altro spinge a rintracciare la (introvabile) filmografia del regista coreano.

Chi è appassionato di paradossi di scrittura/sceneggiatura, mise en abyme e analisi del processo creativo qui può trovare pane per i suoi denti. Corea del Sud: Una giovane studentessa di cinema e sua madre si trovano in una cittadina balneare. Per ingannare la noia, la ragazza si mette a scrivere una sceneggiatura. La sceneggiatura è composta di tre storie, ma sono anche tre variazioni di una storia unica.

Il nucleo concettuale di In Another Country sta tutto nella rappresentazione, operata qui con notevole eleganza e purezza, del processo creativo. La pellicola è quindi costituita da una serie di elementi ingegnosamente correlati tra loro e intercalati su piani narrativi simmetrici che interagiscono per mezzo di una serie di rimandi che legano la realtà con l’immaginazione, così come legano una storia con la successiva, in modo da far percepire ogni storia come se fosse un eco, un riverbero della precedente. In breve, le tre storie non sono creazioni a sè stanti, indipendenti, ma revisioni, o meglio correzioni di una singola storia; per fare un paragone (si spera) chiarificatore, non credo sia azzardato dire che In Another Country possa essere visto come un esempio di trasposizione cinematografica delle variazioni che si possono compiere su un tema musicale. Per rappresentare questo procedimento (mentale) assai complesso, Sang-soo elabora l’equazione del suo cinema evidenziandone le costanti e le variabili.

Le costanti da un lato donano omogeneità alle storie. Queste costanti sono l’ambientazione (che è quella dalla quale la ragazza prende lo spunto per le sue sceneggiature: chi di noi, trovandosi in un locale/ambiente, non ha immaginato una scena che ha come scenografia proprio il posto in cui si trova?), che contiene una serie di luoghi-cardine (zone che ricorrono come un dejà vu: una stanza, una curva, una spiaggia e persino qualcosa che si cerca, che viene nominato ma non si trova mai se non in sogno, qui “il faro”), e la protagonista: una francese in visita in Corea. E chi se non la solita, onnipresente Isabelle Huppert? La giramondo attrice francese che troviamo come il prezzemolo in un numero imprecisato di film, e dopo essere stata in Francia con Haneke, in Italia con Bellocchio, nelle Filippine con Mendoza, ora va pure in Corea con Sang-soo.

Le variabili, d’altra parte, sono il motore della vicenda e la componente in grado di moltiplicare potenzialmente all’infinito (qui arriviamo solo al numero 3) le possibilità offerte da uno spunto di partenza che senza di esse sarebbe immobile come un fossile. Le macro-spaccature della sceneggiatura scindono la figura della protagonista in n declinazioni che la Huppert veste in modo straordinario, rimanendo sempre la stessa e allo stesso tempo trasformandosi concordemente a ogni flessione narrativa. Nella prima storia la Huppert è una regista francese che visita la casa di un collega regista coreano; nella seconda storia la Huppert è la moglie di un uomo d’affari che va in un albergo (la casa precendente) per incontrare l’amante regista (ancora: rimandi alla precedente), ma lui è divorato dalla gelosia e dalla paura di essere scoperto; nella terza storia la Huppert è una donna separata (gelosia della storia precedente?) lasciata dal marito per una coreana, in visita al mare con un amica per ritrovare pace (attraverso l’incontro con un monaco, il momento insieme più enigmatico e ridicolo del film), ma finirà in tenda con il detestato/attraente bagnino (ricorrente nelle storie precedenti).

L’interesse di Sang-soo è rivolto interamente al rapporto tra realtà e immaginazione, sogno e  quotidianità, così come a quello tra uomo e donna. E’ chiaro che la gelosia è l’amalgama che lega le tre storie tra loro, e forse le tre storie alla realtà (la ragazza è stata tradita?). La scelta del genere “commedia” non è casuale. La leggerezza della commedia, basata sulla fragilità e sulle increspature delle relazioni amorose, con tanto di fantasie e disillusioni, è ottimale per mettere in risalto lo spirito di ricerca, la ricchezza delle soluzioni, i differenti punti di vista, in modalità che portano lo spettatore a concentrarsi progressivamente sempre meno al contenuto e sempre più al gioco che gli viene offerto. Che però, alla fine viene un dubbio, sembra essere solo un gioco e non molto di più.

Stefano Uboldi