Pablo Larraìn: NO

All’occorrenza della sua uscita nelle sale italiane, ripubblichiamo la recensione di questo ottimo film.



NO

(Usa, Cile, Mex 2012, 110 min., col., drammatico)

Pellicola amara, molto amara quella di Pablo Larraìn in lizza come “Miglior film Straniero” agli Oscar 2013.

È la fine del regime di Pinochet con il referendum del 1988, il soggetto scelto da Larraìn per il suo nuovo film, condito da salsa ironica. L’oggetto di derisione, infatti, è proprio la politica: la politica delle adunate, delle ovazioni, ma anche del mondo televisivo e (perché no?) del contemporaneo mondo del web (fra le righe, s’intende…). La politica dell’oppressione di Pinochet si spezza grazie al coraggio di uno spot elettorale proposto in televisione. L’autore della campagna per il “NO” (alla dittatura)è il giovane pubblicitario Renée Saavedra (Gael Garcìa Bernal) che, spinto dagli oppositori del regime, realizza uno spot audace e in grado di coniugare lo spirito delle pubblicità alla drammaticità della storia cilena.

La storia è storia e come tale va raccontata, ma Larraìn non si sofferma alla mera enumerazione dei fatti. Tutt’altro: i fatti sono il contesto, l’alcova della sua sottile ironia, vero motore della vicenda.

Partendo dal contesto temporale e spaziale, non si può non apprezzare la congiunzione fra estetica e narrazione, fra la qualità dell’immagine e l’epoca in cui si svolgono i fatti (1988). Qui risiede tutta la particolarità e la bellezza di NO. L’immagine è brutta, perché “brutte” erano le immagine televisive degli anni ottanta. Utilizzandole per fini estetici e narrative, acquistano nuova vita e nuova freschezza: esse si mischiano alle immagini d’archivio presenti, omogeneizzandosi in un fluido visivo e dal format televisivo. Esse calzano alla perfezione! Per rendere ottimale allo spettatore  la sensazione di essere negli anni ottanta, il regista utilizza una macchina da presa dell’epoca. Come confida ai Cahiers du cinéma (n°687, marzo 2013), egli ha utilizzato la cinepresa Ikegami del 1983 che ha in sé la caratteristica di proporre immagini quadrate e colori desaturati.

Così utilizzate esse diventano “belle”, non in quanto tali, ma all’interno del contesto in cui sono inserite. Ecco come s’incastra, allora, il tassello dell’“ironia” in NO: utilizzando la tecnica dell’immagini quadrate e desaturate, essa s’intercala nel mondo nascente della pubblicità moderna, ricca di sorrisi rassicuranti e di felicità. Come è possibile mostrare uno spot con immagini allegre ad un popolo che ha subito le peggiori sevizie? A questa domanda, posta da un oppositore di Pinochet, il regista e Renée rispondono: mostrando ciò che vorrebbero vedere. Questa risposta è l’”amarume” della pellicola: si vince con gli spot alla “Mulino Bianco”, non con un elenco di atrocità e torture. Certo, il tutto è triste e lo sa anche Pablo Larraìn, ma è qui che risiede la forza della pellicola vincitrice a Cannes 2012 della Quinzaine des Réalisateurs.

Mattia Giannone