Joe Wright: Anna Karenina

JOE WRIGHT

Anna Karenina

(UK 2012, 130 min., col., drammatico)

Di Joe Wright abbiamo parlato due anni fa con Hanna e qualche mese fa con il nostro speciale dei commercial di Chanel; in entrambi abbiamo associato il suo nome a frasi come “impronta eccezionale” o “grande talento”; Anna Karenina è una ulteriore conferma della sua bravura inconfondibile. Tornando a realizzare un’adattamento, Wright torna infatti a fare quel che sa fare meglio come avvenne per Orgoglio e Pregiudizio ed Espiazione: magari carente nella idealizzazione dei soggetti, il cineasta riversa ogni sua energia nella resa visiva dell’opera, qui a livelli strepitosamente barocchi e sontuosi.

Aldilà del contrasto tra sfarzo dei dettagli e rarefazione del contenuto, caratteristica che già ci convince non poco, quel che ci stimola veramente in Wright è l’idea stessa del suo cinema di adattamento. Se esso nasce come trasposizione dell’opera letteraria, piccola o grande che sia, nel formato compatto di due ore di immagini in movimento, qui l’inglese ne rivoluziona la nozione, rifondandola. In breve, come piacerebbe a lui (che ha sintetizzato un mattone di svariate centinaia di pagine in 130 minuti), Wright non si è piegato alle parole di Tolstoj ma ha convogliato le pagine dell’autore russo negli schemi del suo cinema; in questo senso, Wright ancora una volta, ma questa volta più di tutte le altre, ha preso l’opera di qualcun altro e l’ha piegata, modellata a suo piacimento: verrebbe da dire che Wright non fa cinema per adattare Tolstoj, ma che Tolstoj è il carburante del cinema di Wright. Ne sviscera lo scheletro, ne succhia la linfa vitale e ne fa una cosa sua. Non so come dirlo meglio di così: L’Anna Karenina di Joe Wright è la versione trendy di Anna Karenina di Tolstoj. Vedendolo mi è venuto in mente l’operazione di Luhrmann in Romeo+Juliet, quella potenzialmente interessante ma scaduta ai limiti del ridicolo; ma apprezzo il fatto che sia trendy senza però risultare mai ammiccante e ruffiana: sembra proprio di vederlo questo regista baffuto, mentre si diverte ad assemblare scenografie, scegliere le luci che meglio risaltino lo splendore ultrasaturo dei costumi, pregare la sua musa Keira Knightley di fare l’espressione giusta eccetera. Si percepisce una grande cura e attenzione, ma anche una certa dose di divertimento e ci fa piacere.

Wright permette al formalismo estremo che lo contraddistingue di intaccare la struttura del suo film. E’ come se la decorazione di un elemento architettonico diventasse l’assetto portante di quell’elemento, senza il quale l’edificio crollerebbe.  Pur essendo, come si è detto, al limite della maniera, Anna Karenina è anche paradossalmente spoglio. In tal senso, la vena descrittiva di Tolstoj viene completamente eliminata a favore di una narrazione priva di fronzoli: levigata. Per fare ciò, la vicenda si sviluppa attraverso una serie di coreografie con un preciso ritmo di scena adattato alla psicologia dei personaggi più ancora che dalla scena in sè. L’ambiente, poi, merita un discorso a parte. Tutto inserito in un teatro in continuo mutamento, tanto che si passa, in un interno, direttamente da una stanza da letto a una stazione ferroviaria, da una sala da ballo a una steppa russa con naturalezza quasi onirica; è come se ci fosse una “forza misteriosa” in grado di modificare scenografie con la stessa velocità con cui si muovono i personaggi che vivono in esse; è come se l’ambiente fosse una proiezione dell’interiorità dei personaggi, e quindi non è mai fisso, cambia, e non è sempre facile starci dietro: in una scena, il marito di lei Karenin, è seduto a parlare nella sua camera da letto e nell’inquadratura successiva è sul palco di un teatro vuoto. Ulteriore sfogo stilistico o manifestazione diretta di un preciso concetto? Che poi, tutti vivono in un teatro, tutti recitano in un set che è la vita, come già espresso nel contemporaneo Holy Motors? Difficile a dirsi.

Diciamo che ci fa piacere fino ad un certo punto. Perchè se all’inizio l’idea funziona, con il procedere del racconto emergono i suoi limiti, tra cui una tendenza frequente per la messa in scena artificiosa, forzata, unita a un calo di concentrazione nella seconda parte dovuta, probabilmente, al fatto che a un certo punto, ubriaco di forma, il film si dimentica cos’è; si fa più caso infine a un particolare qualcosa in scena che al significato complessivo and it’s no good. E se il personaggio di Karenin vibra sullo schermo nella pelle di Jude Law, quello che dovrebbe essere il più importante, Anna Karenina, si spegne in due scene o più. Insomma, Anna Karenina è superba immagine cinematografica; è trionfo di finzione; è cinema che attinge al Capolavoro ma potrebbe sopravvivere per conto suo, superbo e orgoglioso.

Stefano Uboldi
  • http://ilbibliofilo.wordpress.com/ ilbibliofilo

    sembra di essere all’Opera
    costumi, bella musica, fondali di cartapesta e recitazione sciatta (quel che va detto va detto, cara Keira)
    il balletto dei travet che si alzano e si siedono a tempo di musica mi ha ricordato THE PRODUCERS (quando Bloom manda a quel paese il capocontabile e grida FERMATE IL MONDO, VOGLIO SALIRE…)