Chigur, Joe e Cogan: Tre killer a confronto

E’ curioso come nell’anno passato il cinema abbia affidato a due killer il ruolo di rappresentare l’America e l’Occidente contemporaneo della crisi economica. Il fatto che Killer Joe e Cogan – Killing Them Softly siano entrambi film di assassinio a pagamento, che entrambi siano ambientati nella provincia degradata degli Stati Uniti, e che entrambi siano usciti proprio nello stesso periodo (in Italia si intende) spingono ad almeno una parvenza di riflessione.

Il 2011, come abbiamo detto un anno fa, è stata un’annata cinematografica superba. Come giustamente è stato osservato nella recensione del blog “Delicatessen” abbiamo assistito ad una “espansione” spaziale e d’intenti oltremodo eccezionale passando dalle aspirazioni cosmiche di Malick alla psico-catastrofe di Von Trier con intermezzo l’esperienza estetico-sensoriale di Sokurov (ma anche Take Shelter appartiene a quell’annata); in ogni caso era un cinema di ampio respiro, letteralmente, di spazi aperti. Il 2012 è stato viceversa l’anno degli spazi chiusi: nella limousine di Eric Packer o nella cantina di Io E Te, l’aria è dosata. Il cinema reagisce alla contemporaneità attraverso variazioni tali da ridurre le altissime ambizioni dei film prima citati in duri esempi di desolazione il cui vuoto sintomatico sembra poter essere colmato con niente altro che il capitale: è unicamente l’avidità materiale a governare la logica dei due assassini, entrambi assunti ad emblema del mondo affaristico dominante.

CHIGUR. Se la figura del killer e più in generale il noir è un personaggio ricorrente fin dalle origini della settima arte, passando nella contemporaneità i Coen possono annoverarsi tra quelli che con più efficacia hanno rivisitato il genere; il meraviglioso Non E’ Un Paese Per Vecchi è già pietra miliare (ad essere puntigliosi, già Il Grande Lebowski era una anomalia, seppur comica, del genere: l’investigatore che non capisce, quando non si preoccupa proprio, di quel che gli capita attorno, lo spaesamento e la femme fatale, il più debole come vittima eccetera). Ma in particolare Non è Un Paese per Vecchi è veramente un noir sovrumano; il killer Anton Coburth è quasi una figura mitologica: implacabile, uccide tutti, glaciale. Coburth risponde quasi unicamente al caso (scena della monetina) ed è una scheggia impazzita, una “figura” più che un uomo. In tal senso, è anti-economia, anti-affarismo, anti-capitale. E’ impulso, non calcolo: la nemesi del capitalismo.

JOE. Il capolavoro di Friedkin digerisce culture radicalmente diverse facendo di esse una sintesi ibrida dalla solidità impeccabile, grazie alla infrastruttura teatrale che lo sostiene e al polso deciso del suo autore. Pur nella sua impressionante caratterizzazione però, il personaggio di Joe è stilizzato al limite del cartoon: è la tipica figura del killer da cui è meglio scappare, o come minimo tenersi alla larga; è un concentrato di male e sadismo, che riassume ogni forma pensabile di psicopatia seppur mascherata da eleganza southern-style. In pratica rappresenta la contraddizione di una società che di giorno cattura i criminali e di notte compie omicidi.  Ciò fa di Joe e dell’opera di Friedkin un’analisi psicologica individuale (Joe) e collettiva (White Trash americano), perchè a differenza della “macchina del caso” Chigur, Joe è sempre un uomo che vuole i suoi soldi e si gode la vita; solo che è “anche” un maniaco, un virus che infetta ogni ambiente con cui entra in contatto. Dunque, Killer Joe tange solo di poco la contemporaneità senza preoccuparsi di essa, tutto preso dal suo sfogo maligno e cinematograficamente bastardo.

COGAN. A differenza di Killer Joe il film di Dominik è palesemente imperfetto. Pur essendo strutturalmente meraviglioso, pecca di una verbosità spesso fuori luogo e da metafore così tanto ripetitive che il senso del film lo capiamo già a 5 minuti dal suo inizio: la rapina e la crisi del sottobosco il-legale americano come specchio della crisi mondiale, l’alternarsi di vicende criminose come allegoria politico-economica, le storie di  mandanti e killer che hanno come sottofondo l’ascesa di Obama e del “Yes You Can”.

Tuttavia il personaggio principale, Cogan, è il più interessante di tutti tra quelli elencati. Cogan è l’emblema dell’affarismo americano. Cogan non uccide perchè è destinato a farlo (Chigur) o perchè gli piace (Joe), uccide perchè è il suo lavoro. L’omicidio per lui non è lo scardinamento della legge o della normalità (come era per Joe e ancor più per Chigur): Cogan uccide per rimettere le cose a posto, per ripristinare lo Status Quo, perchè “tutti tornino a fare affari felici e contenti come prima”. In tal senso Cogan non è uno psicopatico, anzi: è il più lucido di tutti. Non “scapperesti” da Cogan, potresti parlarci tranquillamente, solo che per mestiere compie omicidi. Se nel mondo vige la selezione naturale, nella contemporaneità Cogan è l’organismo che si adatta meglio. Non è che sia indifferente a quel che gli capita attorno, solo la logica del mercato impedisce ai suoi sentimenti di prendere il controllo. L’america è un paese nato cresciuto e dominato dagli affari e Cogan è un americano che lo sa e che vive secondo le sue leggi, spietate che siano. Alla fine Cogan vuole solo una cosa: essere pagato, fino all’ultimo centesimo.

Stefano Uboldi
  • http://www.blogger.com/profile/07298155170214398381 Nico Donvito

    Nonostante abbia apprezzato molto Killer Joe, se dovessi scegliere uno dei tre killer opterei per Chigur…