Leos Carax: Holy Motors (recensione)

Holy Motors

(Fr 2012, 115 min., col., drammatico)
 « Je continue comme j’ai commencé, 
pour la beauté du geste. »
Un regista continua a “fare del cinema” per la “…beauté du geste”, per la bellezza del gesto. Continuare, come si è iniziato, facendo dell’arte: cinema come fine e non come mezzo.
Interpretare la frase pronunciata da Monsieur Oscar (Denis Lavant) nel dialogo con il suo datore di lavoro (Michel Piccoli) in Holy Motors, equivale a interpretare la storia del cinema rischiando di tralasciare dei frammenti. Prima di interpretare, si deve guardare. In ciò che si vede ognuno trova ciò che vorrebbe vedere e, nell’ultimo lavoro di Carax Holy Motors, si vede davvero tanto sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo. Alla recensione seguirà l’analisi, perchè un film di questa portata non può essere solo recensito, deve essere ricordato.
Monsieur Oscar vive, recitando a seconda delle circostanze, ruoli diversi. Non lo fa per suo diletto, ma per lavoro: egli è pagato per vivere i ruoli che ogni volta gli vengono assegnati, tutti nella città di Parigi. Si cambia, si trucca e si prepara prima di ogni incontro a bordo di una limousine guidata da Céline (Edith Scob), donna misteriosa e portatrice di consigli.
Cosa si vede? La morte. La morte del cinema e dello spettatore. Di conseguenza, l’attore e il regista si adattano, morendo anch’essi.

E’ la soluzione? Non per il regista francese Leos Carax, che torna al lungometraggio dopo un lungo silenzio.

Una sorta di testamento? Una sorta di monumento? Una sorta di dichiarazione d’intenti? Una sorta di autocelebrazione? Tutte queste domande e tante altre hanno la medesima risposta: sì. Holy Motors è il Cinema con la lettera maiuscola, è tutto ciò che è la settima arte; anzi, è tutto ciò che è l’arte tout court: un rapporto estetico fra chi crea, l’opera e il fruitore. Triangolo dei triangoli, fuori dalla storia, dai contesti; è atemporale e astorico.
E’ un film fuori dal tempo e dalla storia non per ripudiarle, ma per criticarle. La pellicola di Carax parla, così come il suo lungo silenzio artistico, più di tutti i film che ogni settimana escono nelle sale, per incassare e per abbindolare un pubblico inebetito, privo del senso critico che dovrebbe invece possedere. Holy Motors critica il cinema contemporaneo allontanandosene e mostrandone le mele marce attraverso un prologo magistrale. Qui, un Leos Carax dormiente (sempre interpretato da Denis Lavant), si sveglia dal suo silenzio artistico e ritrova il cinema. Un’arte a suo giudizio profondamente cambiata, che ha trasformato gli spettatori in bambocci addormentati (o morti).

Inizia così un percorso sul cinema contemporaneo, su sé stesso e su i suoi film. Un’analisi che non si sofferma sulla situazione attuale lamentandosene, ma mostrandola così com’è. Ogni appuntamento di Oscar è una tappa nei generi cinematografici dal dramma alla favola, dalla motion capture al musical, in cui il protagonista recita, quasi una macchina perfetta, un automa della recitazione.

Ma è anche un film autobiografico, personale, critico e riflessivo. E’ il suo testamento, ma anche il suo decalogo registico. E’ qualcosa in più de Le Testament d’Orphée di Cocteau, perchè non si tratta solo di dichiarare ciò che è stato fatto, di come lo si è fatto e di chi si è; qui c’è anche la “svolta della continuazione”. Non si è, insomma, alla fine di un ciclo, ma alla continuazione di questo. Picchiare sul medesimo chiodo, non significa essere ottusi, ma insistere su ciò che si crede. Carax non cambia per far felice il mercato o i nuovi spettatori, rimane sul suo pensiero costi quel che costi, anche se ciò significa rimanere in silenzio per anni. Il ritorno al cinema (al lungometraggio per l’esattezza) di Carax è un ritorno che deve essere come lui vuole, così o niente. Un ritorno coi fiocchi senza compromessi e senza rinnegare il suo passato (si vedano le citazioni di Les amants du Pont-Neuf o il peronaggio Merde dell’omonimo corto in Tokyo!).

E’, insomma un film monumento-mobile, un testamento in perenne metamorfosi. Non è un caso che Merde (uno dei personaggi di Oscar) faccia incetta di fiori sulle tombe di Père Lachaise, su lapidi con epitaffi da internauti (“Visitez mon site: www…” ecc.). No ai compromessi contemporanei (il web); sì ai propri sogni. Le lapidi, i monumenti sono ciò che è statico, ciò che rimane fisso e immutabile (un testamento appunto). Ma, all’opposto, non si deve neppure cavalcare l’onda della velocità, del cambiamento à tout prix tipico del mondo attuale. Le tombe del cimitero di Parigi è una delle tante immagini simbolo di Holy Motors: da un lato ciò che rimane e dall’altro ciò che muta. Carax ripudia entrambi, poichè espressione del medesimo concetto. I due estremi, seppur diversi, alla fin fine dicono lo stesso e si annientano nella tomba del cinema. Solo il regista, solo lui ha il coraggio di cambiare pur rimanendo ciò che è stato. Il cinema, sembra dire al pubblico il cineasta francese, non può guardare il futuro senza conoscere il passato, ma non può neanche rimanere nel passato, chiudendosi in sé stesso. L’arte cinematografica deve essere presente, figlia del passato e madre del futuro.

Troppo da dire su un’opera così “enorme”, per questo si rinvia all’analisi che seguirà la recensione. Sopre le righe, oltre alla splendida fotografia digitale di Caroline Charpentier e le musiche simboliche/significative, la prova dell’attore feticcio di Carax, ovvero Denis Lavant. Il corpo è il suo mezzo d’espressione; è in grado di trasformarlo in prigione o in libertà. Attore di teatro, della Commedia dell’Arte, acrobata e circense, muta a seconda delle circostanze con una bravura senza eguali riuscendo varcare la soglia dove la seguente domanda è possibile: recita di più quando non recita, quando è sé stesso, o quando interpreta i suoi ruoli?
Bravo Carax; è riuscito a mostrare il problema del cinema. Il tutto senza piagnistei rievocativi o una caccia alle streghe senza processi. Il rogo che brucia il cinema si estingue solo facendo cinema, del buon cinema. Meglio un “motore san(t)o”, come vorrebbero le limousine nel loro garage, che uno nuovo, ma mal funzionate.

Mattia Giannone

  • http://www.blogger.com/profile/11347254217489974262 Stefano

    oh.

    wow.

    l’idea che non trovi distribuzione in italia non so se mi fa più piangere o incazzare.

  • http://www.blogger.com/profile/09993226958393520486 Marco Goi – Cannibal Kid

    mi incuriosisce troppissimo! :)

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    Fai bene a essere curioso… si tratta di un vero e proprio capolavoro snobbato alla Croisette! In Italia un giorno uscirà, con il solito ritardo distributivo.

  • http://www.blogger.com/profile/01505840319808672920 Lisa Costa

    Lo ha comprato la Movies Inspired (che farà uscire anche il meraviglioso Blue Valentine!), arriverà anche da noi e non vedo l’ora!

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    Bene bene! tra l’altro Blue Valentine è molto bello

  • http://www.blogger.com/profile/16466250810344120769 poison

    Buono a sapersi. E’ il primo film che vedrò al Torino Film Festival, venerdì! :)

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    ah cavoli, è a Torino? non lo sapevo… bene, almeno avrà un’altra visibilità “festivaliera”

  • http://www.blogger.com/profile/15050269216140730370 Eraserhead

    No, non avevo letto il tuo intervento come non avevo mai letto il tuo blog nel quale peraltro sono linkato, ricambierò immediatamente il favore :). Sul film direi che mi ritrovo pienamente nelle tue parole tanto che in alcuni punti hai scritto grosso modo le stesse cose che ho scritto io, poi la notizia di Lisa è veramente ottima. W Carax.

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