Olivier Assayas: Carlos

OLIVIER ASSAYAS

Carlos

(Fr/Ger 2010, 330 min., col., biografico/drammatico)

Numeri: Girato in 92 giorni realizzando 330 minuti di pellicola, in 10 paesi di 3 continenti diversi, 8 lingue parlate, con oltre 100 attori e un budget di 18 milioni di dollari. Racconta 20 anni di vicende geopolitiche, in un epoca (anni ’70 e ’80) ricostruita fedelmente grazie a un grandioso lavoro di ricerca e documentazione, attorno a uno dei personaggi più controversi del secolo scorso.

Ilich Ramirez Sanchez, venezuelano di nascita, nome di battaglia Carlos, chiamato dalla stampa occidentale Lo Sciacallo. Arruolato nelle file del Fronte di Liberazione della Palestina, fu responsabile di un numero indefinito di omicidi e attentati, autobombe e assalti come quello più famoso e audace, il sequestro dei ministri dell’OPEC a Vienna nel 1975.

Il film parla di quella generazione di idealisti “armati” che hanno infiammato l’europa della “cortina di ferro” (Baader Meinhof, ma anche militanti giapponesi e francesi) e il Medio Oriente delle guerre Arabo Israeliane (Settembre Nero, OLP). Alleato con differenti fazioni unite nella lotta all’imperialismo capitalista, Carlos è però un personaggio a sè stante. Rivoluzionario del culto marxista, eversivo sempre in fuga, playboy narcisista votato alla celebrità, megalomane egocentrico, poi mercenario al soldo del miglior offerente.

Facile fare un paragone con la recente pellicola sul Che: Carlos non ha assolutamente niente in comune con l’opera di Soderbergh, nè per argomento trattato (da una parte la figura quasi “militare” di Guevara, dall’altra il “terrorista” Carlos) nè tantomeno per la forma: con L’Argentino e Guerrilla Soderbergh ci ha consegnato un lavoro monumentalmente fine a sè stesso e soprattutto freddo, privo del carisma che gli compete. Il francese Assayas viceversa, senza mai uscire dal rigore documentaristico, sembra essere sinceramente appassionato ai suoi protagonisti e alla loro epoca.

La narrazione, serrata e vorticosa, non lascia niente al caso. 330 minuti suggeriscono un film eccessivo e prolisso; ci viene proposta invece un’opera curata in ogni singolo dettaglio, per cui ogni sequenza è un tassello di un mosaico che ritrae, sotto ogni aspetto, con estrema razionalità e senza mitizzazione, il terrorismo di quegli anni, diametralmente opposto per ideologia e metodo a quello attuale.

Presentato fuori concorso a Cannes, il film è passato in italia solo sui canali a pagamento; per la durata e per la suddivisione in “puntate” è sembrato poco più di una grossa fiction. Trattasi bensì, stesso discorso per il nostro Noi Credevamo, di grande Cinema.

Stefano Uboldi