Articolo Del “Mucchio” sull'”Omologazione” del Cinema

A seguito dell’articolo sul significato (e sul futuro..) del 3D nell’arte cinematografica, colgo l’occasione per segnalare un’articolo su una questione che è stata motivo di discussione in merito al “Box Office” di qualche settimana fa. Tratto da “Il Mucchio Selvaggio” di questo mese (n. 680, p.154-155), è un’articolo “illuminante” (La Coda Corta) di Luca Castelli.

“Cinema in crisi? Produttori sull’orlo del lastrico? Azione combinata pay-tv, dvd e download piarata che soffoca le sale cinematografiche? Industria agonizzante? Non certo in Francia. Dall’altra parte delle alpi, il 2010 è stato un anno da ricordare, come testimoniano le cifre rese note dal Centre National Du Cinèma (Con 206 milioni di spettatori è uno dei migliori anni di tutti i tempi, bisogna risalire al 1967 per trovarne uno migliore) […] Esclusività francese? Non proprio. Negli stessi giorni in cui il CNC brindava a Champagne, in Italia i produttori stappavano parecchie bottiglie di spumante. Almeno, quelli delle sei commedie protagoniste dell’inverno più ricco che il cinema ricordi. Sei film autarchici (Che bella giornata, La banda dei Babbi Natale, Natale in Sudafrica, Qualunquemente, Immaturi, Femmine Contro Maschi) in grado di incassare, in appena ciquanta giorni, oltre centodieci milioni di euro al botteghino. Più di due milioni di euro al giorno. Alla faccia delle lamentele sulla fine del mondo. E alla faccia della crisi. O meglio, forse, proprio grazie alla crisi, come sostengono i teorici del cinema come industria anticiclica, sorta di bene rifugio emozionale al quale ci rivolgiamo nei tempi bui, quando abbiamo pochi soldi in tasca e tanto bisogno di distrazione […]”

“Tutto bene dunque? Non proprio. Perchè questi exploit milionari nascondono segnali complessivi poco rassicuranti. Forse non tanto dal punto di vista economico, quanto da quello sociale, culturale e artistico. Proseguendo nella lettura dell’articolo su “Les Inrocks”, si fa in fretta a scivolare dallo champagne nella merde. Quella in cui è costretta a sguazzare la grande maggioranza di produttori ed esercenti tagliati fuori dal banchetto Mainstream. I 206 milioni di spettatori infatti tendono ad accentrarsi in pochi multiplex. Corrono a vedere sempre e solo gli stessi blockbuster. […] All’abbondanza fin esagerata delle uscite (anche venti nuovi film a settimana) non corrisponde alcun equilibrio nei riscontri economici. E la forbice tra i film che guadagnano tanto e quelli che non guadagnano nulla si sta aprendo in modo inverosimile. E’ un vizietto comune alla finanza globale: oggi, in generale, la distanza tra ricchissimi e i poverissimi del mondo si è fatta molto più ampia rispetto a trant’anni fa. Con il nulla nel mezzo, vista la graduale scomparsa della classe media. Tradotto al cinema, il divario si presenta in modo eloquente. Prendiamo i venti film più visti in Italia dal 29 gennaio al 4 febbraio: il primo (Femmine contro maschi) ha incassato 3.846.589 euro in sette giorni; il ventesimo (Tamara Drew) 13.079 euro. Avete letto bene: tra il numero uno e il numero venti c’è un rapporto di trecento a uno.”

“[…] Non solo le nostre città sono ormai territorio in mano dei grandi supermercati del cinema […], ma in buona parte di essi ormai viene meno la varietà di offerta che sembrerebbe implicita nel nome stesso: “multi sala”. Piuttosto che concedere anche solo lo stanzino più minuscolo a Tamara Drew, i gestori scelgono di appaltare due o tre sale a Checco Zalone. A orari diversi, così si ottimizzano i guadagni.”

Stefano Uboldi
  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    Non c’è neanche bisogno di commentare(e ciò è un male). Il problema è del sistema e non degli spettatori: se a un film come Che bella giornata dai 800 sale e più, mentre a Noi credevamo ne dai 30 in tutta Italia la prima settimana, i conti sono presto fatti. La forbice citata nell’articolo è proprio realtà.