Danny Boyle: 127 Ore

DANNY BOYLE

127 Ore

(127 hours, Usa 2010, 90 min., col., drammatico)

Danny Boyle o si ama o si odia. Delle sue opere passate, ci si accorge che ottiene sempre critiche O buone O pessime, quasi mai vie di mezzo.

Da Trainspotting a The Millionaire il regista ha prodotto un cinema facile, pretenzioso, ruffiano ed esibizionista nell’affannosa ricerca di un genere conveniente: il “pulp” drammatico di Trainspotting, il thriller allucinato di The Beach, l’horror di 28 giorni dopo, la fantascienza di Sunshine, fino al (ingiustamente) pluripremiato polpettone-kitsch The Millionaire, che partendo in quarta con una storia pop-accattivante (i flashback nel quiz “Chi Vuol Essere Milionario”…) si rivela per la sua natura di telenovela indiana (una favoletta difficile da credere) con tanto di gangster e triangoli amorosi dai risvolti improbabili.

Per fortuna, l’ambizione spropositata e malriposta di The Millionaire è assente nel suo ultimo lavoro 127 Hours. Il film racconta la vera storia dell’alpinista Aron Ralston, che durante una escursione nelle montagne dello Utah, rimase incastrato in un canyon. Per liberarsi, fu costretto ad amputarsi un braccio.

La pellicola di 90 minuti è quasi interamente girata in un buco. Neanche a dirlo, l’intero film è incentrato sul personaggio interpretato (molto bene, si badi) da James Franco. L’ escursionista, fin troppo sicuro di sè, suscita ammirazione (invidia..?) per il suo autocontrollo quasi irreale: quando si incastra, affronta la cosa con un pragmatismo incredibile, per niente turbato. La sua vita è ripercorsa da frequenti flashback che ne rivelano l’animo sensibile e profondo (…) dietro la maschera di spensierato festaiolo fortunato con le ragazze.

Ancora una volta il regista propone un modello di eroe moderno, umile e simpatico (“uno di noi”…molto ammiccante) come il ragazzo di The Milionaire (quello davvero investito da una specie di “santità”) ma dotato di grandi capacità, davvero troppo bello e perfetto per essere vero.

Il film è girato in stile documentaristico, con qualche virtuosismo del regista, specialmente nel “tagliare” lo schermo con più sequenze, cosa che diventa facilmente ripetitiva. Non mancano le “stranezze” a cui l’eccentrico regista ci ha ormai abituati. Dopo la danza bollywoodiana che chiude in bruttezza The Millionaire, stavolta è il turno di una scena surreale in cui il giovane è osservato da amici e parenti nella sua condizione, come se fosse in televisione. Il meccanismo sensazioni-flashback rimane sempre lo stesso fino alla fine.

Come non detto, “127 Ore” ha ricevuto ben 6 nominations. A mio avviso, c’è di meglio in questa edizione degli Academy.

Stefano Uboldi

  • http://www.blogger.com/profile/13267355458580221545 Mattia

    Dai, non è così terribile. Certo, dopo aver visto Into the wild, 127 Ore sembra quasi uno scherzo. C’è da notare inoltre che il crepaccio è stato girato in studio e qui l’artificiosità è alla sua massima potenza, ma non dobbiamo dimenticarci che il cinema è finzione. Ma qui si entrerebbe in un dibattito senza fine…
    Ottimo James Franco.

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